ANNO 14 n° 119
Livingstone in Salotto
Tutti giù per terra
>>>> di Massimiliano Capo <<<<
06/07/2015 - 01:08

di Massimiliano Capo

VITERBO - ''L’arte e la vita, nell’esperienza individuale, ci circondano con le loro attività e non il contrario. L’arte, se può avere una qualche utilità, deve insegnarci a vivere in cerchio''.

Come dar torto a John Cage? Se attribuiamo una utilità alla ricerca artistica, questa utilità sta nell’insegnarci a condividere e a mettere in rete le emozioni.

Come in un girotondo bambino con l’accompagnamento di un ritornello sempre uguale a se stesso nel corso dei decenni, con le mani sudate e i capelli bagnati sul collo, e poi alla fine tutti giù per terra, coi culi impolverati e i sorrisi e la voce affannata e la testa che gira.

Tutti insieme. Tutti in cerchio.

Anche stavolta la parola chiave è empatia.

C’è una poesia di Raymond Carver che si intitola Per Tess.

Tess è la sua compagna di vita. La poesia fa così: “Giù nello Stretto le onde schiumano/come dicono qui. Il mare è mosso e meno male/che non sono uscito. Sono contento d’aver pescato/tutto il giorno a Morse Creek, trascinando avanti/e indietro un Daredevil rosso. Non ho preso niente./ Neanche un morso. Ma mi sta bene così. E’ stato bello!/Avevo con me il temperino di tuo padre e sono stato seguito/per un po’ da una cagnetta che i padroni chiamavano Dixie./A volte mi sentivo così felice che dovevo smettere/di pescare. A un certo punto mi sono sdraiato sulla sponda/e ho chiuso gli occhi per ascoltare il rumore che faceva l’acqua/e il vento che fischiava sulla cima degli alberi. Lo stesso vento/che soffia giù nello stretto, eppure è diverso./Per un po’ mi son lasciato immaginare che ero morto/e mi stava bene anche quello, almeno per un paio7 di minuti, finché non me ne sono ben reso conto: Morto./Mentre me ne stavo lì sdraiato a occhi chiusi,/dopo essermi immaginato come sarebbe stato/se non avessi davvero potuto più rialzarmi, ho pensato a te./Ho aperto gli occhi e mi sono alzato subito/e son ritornato a essere contento./E’ che te ne sono grato, capisci. E te lo volevo dire.”

Te lo volevo dire ha la forza e la potenza della responsabilità.

Scegliere di dire è scegliersi, è entrare in relazione, è riconoscere il volto dell’altro nello sguardo che com-patisce. Che divide con me gioia e dolore.

E’ rispetto e condivisione. E’ pratica di  gentilezza e sincerità.

Te lo volevo dire ha la cruda dolcezza dell’essenzialità, della sottrazione. Di un abbraccio che non stanca. Di una carezza antica che dona ogni volta nuova energia.

Tutto ha a che fare col volto. Il volto è la superficie che disegniamo ad ogni nuovo incontro e quel disegno ogni giorno nuovo si compone delle linee che tracciamo con gli occhi, con le mani, coi sorrisi e con le lacrime.

Si imprimono sul volto dell’altro ogni nostra forza e ogni nostra debolezza. Ci si spoglia nello sguardo e nei gesti per attraversare, muti, i confini delle nostre relazioni spostandoli e ridisegnandoli per tutta la vita.

Si misura sul volto dell’altro la profondità di un amore, di una amicizia.

Si misura nelle pieghe del volto di chi abbiamo di fronte tutta l’incredibile potenza creatrice dell’empatia e tutta la sciagurata e devastante energia negativa delle parole non più pronunciabili: diventa muta ogni cosa e ogni gesto, anche il più noto, perde la capacità di dispiegarsi.

E allora le parole sono importanti. I gesti sono importanti. L’egoismo è inutile e la gentilezza andrebbe insegnata a scuola.

Ecco.

Te lo volevo dire.

 





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